La filosofia del diritto di Guido Alpa

Il mio contributo a questo incontro di studio sarà dedicato alla filosofia del diritto ...


di Pierluigi Chiassoni

Il mio contributo a questo incontro di studio sarà dedicato alla filosofia del diritto di Guido Alpa, quale può essere ricostruita alla luce del suo recente libro: Giuristi e interpretazioni. Il ruolo del diritto nella società postmoderna. Si articolerà in tre parti. Nella prima parte, offrirò alcuni chiarimenti circa la filosofia del diritto, necessari a comprendere in che senso, e in che modo, nel libro Giuristi e interpretazioni, Guido Alpa sia (anche) filosofo del diritto: faccia (anche) filosofia del diritto. Nella seconda parte, offrirò una ricostruzione della filosofia del diritto di Alpa, mettendo in luce quelli che mi sembrano essere gli aspetti più salienti. Nella terza, e ultima, parte, formulerò alcune brevi considerazioni conclusive.

1. Alcuni chiarimenti circa la filosofia del diritto

La filosofia del diritto è riflessione sul “mondo del diritto” (sul diritto positivo, sulla scienza giuridica, su presunti sistemi normativi al di là del diritto positivo, sulla stessa filosofia del diritto nelle sue diverse forme), condotta in modo metodico (secondo un qualche principio investigativo), in vista dell’ideale del “diritto pensato”, del “diritto sottoposto a esame”, sul presupposto che l’operatore giuridico il quale non abbia adeguatamente riflettuto sul diritto, l’operatore giuridico il quale non abbia sottoposto il diritto a un approfondito e costante esame critico, sia un operatore che agisce in modo casuale, superficiale, secondo gli stimoli del momento, senza un programma di vita professionale che guidi e rischiari il suo cammino. Vi sono naturalmente modi assai diversi di intendere e praticare la filosofia del diritto. Utili chiarimenti si possono trarre da alcune distinzioni che si è soliti tracciare in sede di meta-filosofia del diritto. Alludo alla distinzione tra filosofia del diritto dei filosofi e filosofia del diritto dei giuristi; alla distinzione tra filosofia del diritto “dall’alto” e filosofia del diritto “dal basso”; alla distinzione tra il compito ontologico, il compito deontologico e il compito metodologico della filosofia del diritto; e infine, con riguardo al compito metodologico, alla distinzione tra metagiurisprudenza descrittiva (o ricostruttiva) e metagiurisprudenza prescrittiva.

1.1. Filosofia del diritto dei filosofi, filosofia del diritto dei giuristi

La filosofia del diritto dei filosofi è opera, per l’appunto, di filosofi. È prodotta da studiosi privi di preparazione giuridica (non giuristi), che però, in virtù di consolidati modi di pensare, si ritengono muniti della licenza di filosofare a proposito di qualsiasi campo del sapere e dell’agire, anche se a loro affatto ignoto, e dunque, anche a proposito del diritto. Sono esempi paradigmatici di opere di filosofia del diritto dei filosofi i Lineamenti di filosofia del diritto di Georg W.F. Hegel, I fondamenti della filosofia del diritto di Giovanni Gentile, Riduzione della filosofia del diritto alla filosofia dell’economia di Benedetto Croce. La filosofia del diritto dei giuristi è invece opera, solitamente, di studiosi con formazione giuridica, alla quale costoro uniscono talora anche una formazione filosofica. Sono esempi paradigmatici di opere di filosofia del diritto dei giuristi Delimitazione del campo della giurisprudenza di John Austin, Lo scopo nel diritto di Rudolph von Jhering, L’ordinamento giuridico di Santi Romano, Cos’è il positivismo giuridico di Uberto Scarpelli, Diritto, enunciati, usi di Giovanni Tarello.

1.2. Filosofia del diritto “dall’alto”, filosofia del diritto “dal basso”

La filosofia del diritto “dall’alto” è elaborata in risposta a problemi avvertiti come “fondamentali” e, secondo taluni, “eterni” del pensiero giuridico, i quali problemi, essendo fondamentali ed eterni, prescindono di solito dalle esigenze della pratica giuridica. Figurano tra questi il problema della “natura” del diritto (che cosa è veramente diritto?), il problema della “idea” del diritto (qual è la vera idea di diritto?), il problema dei (veri) “rapporti tra diritto e morale” o “diritto e giustizia”. La filosofia del diritto “dall’alto” è opera, tipicamente, di filosofi. Per contro, la filosofia del diritto “dal basso” è elaborata in risposta a problemi che si manifestano nella pratica del diritto. Figurano tra questi, ad esempio, problemi concernenti le norme, le fonti e la struttura degli ordinamenti giuridici, le posizioni giuridiche soggettive, l’interpretazione giudiziale e dottrinale della costituzione e delle leggi, l’identificazione (“accertamento”) e il superamento di lacune e antinomie. La filosofia del diritto dal basso è opera, tipicamente, di giuristi.

1.3. Tre compiti della filosofia del diritto (compito ontologico, compito deontologico, compito metodologico)

La filosofia del diritto si dedica al compito ontologico quando riflette su che cosa e come è il diritto positivo; in tale caso, è sovente denominata “teoria generale del diritto”, “filosofia del diritto positivo”, o anche, più semplicemente, “teoria del diritto”. La filosofia del diritto si dedica al compito deontologico quando riflette sul dover essere del diritto positivo: sui princìpi di giustizia in base ai quali il diritto positivo deve essere valutato, e in conformità ai quali deve essere prodotto, interpretato, applicato; in tale caso è anche denominata “filosofia della giustizia”. Infine, la filosofia del diritto si dedica al compito metodologico quando riflette sul metodo della scienza giuridica (quale scientia iuris, iuris prudentia, dottrina giuridica, dogmatica giuridica, studio dottrinale del diritto). In tale caso, è sovente denominata “metodologia giuridica” o “metagiurisprudenza”.

1.4. Metagiurisprudenza descrittiva, metagiurisprudenza prescrittiva

Infine, si suole distinguere due modi di dedicarsi al compito metodologico, due modi di fare metagiurisprudenza: la metagiurisprudenza descrittiva e la metagiurisprudenza prescrittiva. La metagiurisprudenza descrittiva è descrizione, ricostruzione e rappresentazione perspicua delle operazioni tipicamente compiute dai giuristi nel loro ruolo di “espositori” di un qualche settore di un diritto vigente, nonché degli strumenti da costoro tipicamente utilizzati (apparato concettuale, tecniche interpretative, criteri di risoluzione delle antinomie, criteri di integrazione della lacune). La metagiurisprudenza prescrittiva è, invece, opera di prescrizione. Una tale opera spazia, tipicamente, dalla messa a punto e prescrizione di un determinato metodo interpretativo (si pensi al metodo del “testualismo ragionevole” che il giudice costituzionale Antonin Scalia, laureato honoris causa della nostra Università, raccomanda a giuristi e giudici quale metodo corretto d’interpretazione della costituzione e delle leggi), alla configurazione di un modello di giurista ideale (si pensi alla figura dello “studioso razionale del diritto” disegnata da Oliver Wendell Holmes Jr., nella celeberrima conferenza La via del diritto).

2. La filosofia del diritto di Guido Alpa (in poche parole)

Alla luce dei chiarimenti che ho appena offerto, la filosofia del diritto di Guido Alpa presenta i seguenti caratteri:

  • (1) è filosofia del diritto di giurista,
  • (2) è filosofia del diritto, al tempo stesso, dall’alto e dal basso,
  • (3) è, infine, metagiurisprudenza prescrittiva.

(1) La filosofia giuridica di Alpa è, anzitutto, filosofia del diritto di giurista, e non già astratta e intellettualistica filosofia dei filosofi. Questo carattere della filosofia giuridica di Alpa dipende, senza dubbio, dalla sua formazione di giurista positivo; dimodoché si potrebbe considerarlo un tratto inevitabile, per così dire “obbligato”. Con ciò, tuttavia, si offrirebbe una visione riduttiva della posizione di Alpa. La sua adesione al modello della filosofia del diritto dei giuristi, infatti, non è semplicemente il frutto fatale delle circostanze. Rispecchia invece la meditata, intima adesione nei confronti della filosofia del diritto dei giuristi e il correlativo intimo rigetto nei confronti della filosofia del diritto dei filosofi. In forza di ciò, la filosofia del diritto del giurista Alpa si colloca in una linea di autorevoli precedenti reazioni di giuristi-filosofi contro le filosofie del diritto, imperialiste e astruse, dei filosofi. Il precedente forse più illustre è, ancora oggi, quello di Rudolph von Jhering il quale, nella “Prefazione dell’Autore” alla prima edizione del celeberrimo Lo scopo nel diritto, rivendica il diritto dei giuristi a fare filosofia del diritto, contro la pretesa dei filosofi – di Scuola hegeliana – a essere i soli “autorizzati” a farlo, in virtù della loro (presunta) superiore sapienza. Altri precedenti illustri si rinvengono nella cultura giuridica italiana. Angelo Ermanno Cammarata, in un saggio del 1922, dall’eloquente titolo Su le tendenze antifilosofiche della Giurisprudenza moderna in Italia, prende atto, con costernazione, che, secondo Santi Romano: «non la realtà si deve – dal giurista – subordinare al concetto, ma questo a quella»; e con costernazione ancora più profonda, registra la posizione di Giovanni Brunetti, il quale si scagliava contro:

coloro che la Filosofia del diritto insegnano o pretendono d’insegnare, mentre non professano che una mal digerita metafisica nebulosa, per non dire cervellotica e strampalata, atta solamente a guastare i cervelli di coloro che hanno, per disgrazia loro, la pazienza di leggere o di ascoltare.

Vi è però un precedente altrettanto illustre, che è ai nostri fini assai più rilevante, essendo costituito da uno scritto al quale Alpa dedica le “Conclusioni” di Giuristi e interpretazioni: alludo alla conferenza Fede nel diritto, tenuta da Piero Calamandrei, a Firenze, il 21 gennaio del 1940. In essa, Calamandrei ammonisce un uditorio composto di giovani aspiranti giuristi a non farsi sedurre dalle «“verità pericolose”» proclamate da «certe teorie filosofiche» – identificabili senza possibilità di equivoco nell’idealismo di Benedetto Croce e nell’attualismo di Giovanni Gentile –, le quali «rischiano di diventare armi micidiali per insegnare a metter lo scompiglio nel mondo e per giustificare le peggiori furfanterie».

(2) La filosofia del diritto di Guido Alpa è, in secondo luogo, una filosofia del diritto che miscela la prospettiva “dall’alto” con la prospettiva “dal basso”. Il lettore di Giuristi e interpretazioni avrà modo di rilevare che, nella sua riflessione sul mondo del diritto, Alpa guarda al diritto e all’esperienza giuridica, sia “dall’alto” di problemi “eterni”, come, in particolare, il problema del “rapporto tra diritto e morale” e il problema del “rapporto tra diritto ed economia” (tra “diritto e mercato”), sia “dal basso” di problemi che emergono nella pratica quotidiana del foro e degli studi professionali, tra cui, ad esempio, i problemi relativi alla natura e struttura dell’interpretazione giuridica e i problemi relativi alla definizione di concetti giuridici di fondamentale importanza come “situazione giuridica soggettiva”, “status”, “persona”, “identità”, “dignità”, e “solidarietà”.

(3) La filosofia del diritto di Guido Alpa è, infine, una filosofia del diritto che, dei tre compiti prima enumerati, privilegia il compito metodologico – la riflessione sul “metodo della scienza giuridica”. Nel libro Giuristi e interpretazioni, in particolare, la riflessione metodologica assume i connotati di una metagiurisprudenza prescrittiva, che disegna e propone un modello di giurista ideale.

Una metagiurisprudenza prescrittiva contiene, per definizione, un qualche insieme di precetti. Quali precetti – con forza di garbati suggerimenti (non vi è infatti nulla di più lontano dallo stile di Alpa che quello del saccente imperativo) – contiene la metagiurisprudenza prescrittiva di Alpa? Quali garbati suggerimenti rivolge, Guido Alpa, ai colleghi giuristi, siano essi avvocati, accademici, o notai?

Mi sembra che il nucleo della metagiurisprudenza prescrittiva di Alpa sia composto di tre precetti fondamentali. Li enuncerò con parole mie, trattandosi di precetti che ho individuato in esito a una ricostruzione simpatetica. Ecco i precetti:

  1.  il giurista deve possedere una teoria del diritto vigente informata a interdisciplinarità;
  2.  il giurista deve sapere di critica delle ideologie;
  3.  il giurista deve coltivare la fede nel diritto.

Il giurista deve possedere una teoria del diritto vigente informata a interdisciplinarità

Per comprendere il senso del primo precetto della metagiurisprudenza alpiana – “Il giurista deve possedere una teoria del diritto vigente informata a interdisciplinarità” – occorre anzitutto esplicitarne i presupposti. Primo: Il giurista non può operare in modo informato e proficuo, se non dispone di una teoria del diritto vigente. Secondo: Una teoria del diritto vigente è un insieme di tesi, empiricamente fondate, su che cosa e come è il diritto nel quale il giurista si trova a operare, sotto il profilo delle fonti, del ruolo istituzionale e della funzione effettiva del potere politico, del ruolo istituzionale e della funzione effettiva della giurisprudenza, del ruolo istituzionale e della funzione effettiva della scienza giuridica.

Ciò detto: dove mai può il giurista reperire la teoria del diritto vigente che deve formare la base conoscitiva del suo operare?

A questo problema, Alpa offre una risposta così articolata.

Primo: il giurista non troverà da nessuna parte, già pronta per l’uso, la teoria del diritto vigente di cui ha bisogno per operare in modo informato e proficuo. Se la dovrà, invece, costruire.

Secondo: al fine di costruire una teoria adeguata del diritto vigente, il giurista non può permanere all’interno del recinto claustrale del suo specifico àmbito disciplinare. È invece necessario che esca al di fuori di esso e adotti una prospettiva interdisciplinare. Soccorrono a questo punto, nella metagiurisprudenza di Alpa, quattro precetti specifici: (a) il giurista deve sapere di antropologia giuridica (e sapere evitare le trappole dell’imperialismo culturale); (b) il giurista deve sapere di storia giuridica, al di là della storia inerente al suo settore disciplinare; (c) il giurista deve sapere di economia e di analisi economica del diritto; (d) il giurista deve sapere di critica (e interpretazione) letteraria.

Il giurista deve sapere di critica delle ideologie

Veniamo al secondo precetto fondamentale della metagiurisprudenza di Alpa: “Il giurista deve sapere di critica delle ideologie”. Per comprendere il senso di questo precetto occorre, anche in questo caso, esplicitarne i presupposti.

Primo: il giurista non può operare in modo informato e proficuo, se non dispone consapevolmente di una ideologia del diritto vigente.

Secondo: una ideologia del diritto vigente è una visione normativa del mondo del diritto; è, più precisamente, un insieme di tesi su come deve essere inteso il diritto nel quale il giurista si trova a operare, sotto il profilo delle fonti, del ruolo del potere politico, del ruolo della giurisprudenza, del ruolo della scienza giuridica. L’ideologia fornisce al giurista le direttive da osservare nel compiere le operazioni tipiche della sua professione. Ad esempio, l’ideologia prescrive al giurista quale valore e quale posizione deve ascrivere alla costituzione rispetto alle altre fonti; come deve interpretare le disposizioni costituzionali, legislative, delle fonti comunitarie, dei trattati internazionali, ecc.; come deve procedere nel mettere a sistema le norme relative a materie determinate; come deve procedere nell’accertare lacune e antinomie; come deve procedere nell’integrare lacune e risolvere antinomie; come deve procedere nel bilanciamento di princìpi e diritti, ecc.

Terzo: le ideologie del diritto non possono essere trascese dagli operatori giuridici. Il giurista non può “saltare” al di fuori di esse, per approdare in uno spazio “privo di ideologie”, così come non può saltare al di là della sua ombra. Qualunque cosa faccia, comunque operi, il giurista non potrà evitare di portare acqua al mulino di questa o quell’ideologia, di questa o quella visione normativa del diritto.

Alla luce dei presupposti che ho appena formulato, il secondo precetto della metagiurisprudenza alpiana – “Il giurista deve sapere di critica delle ideologie” – può essere precisato come segue.

In primo luogo, il giurista deve saper riconoscere le diverse ideologie che circolano nella sua cultura giuridica. In particolare, egli deve saper identificare non soltanto le visioni normative del diritto che si presentano espressamente come tali, ma altresì quelle che circolano, per così dire, sotto copertura, presentandosi come discorsi che pretendono semplicemente di dare conto della realtà del diritto come essa è (e non può non essere), e che dunque ne offrono, fatalmente, delle false rappresentazioni e generano nei giuristi una falsa coscienza.

In secondo luogo, il giurista deve saper procedere a una critica delle ideologie preventivamente riconosciute. Ciò richiede, in particolare, di valutare se le ideologie del diritto circolanti nella cultura giuridica impongano obiettivi che possono effettivamente essere realizzati, e, posto che siano realizzabili, se tali obiettivi meritino di essere realizzati sul piano dei princìpi di giustizia.

Per inciso, con riguardo alla nostra cultura giuridica, Alpa raccomanda al giurista di attrezzarsi in modo da saper riconoscere e valutare ideologie quali: l’assolutismo giuridico, il formalismo giuridico (l’«arido formalismo»), il positivismo giuridico, il particolarismo, la globalizzazione.

Il giurista deve coltivare la fede nel diritto

Veniamo, infine, al terzo precetto della metagiurisprudenza alpiana: “Il giurista deve coltivare la fede nel diritto”. Alpa desume questo precetto dalla conferenza “manifesto” di Piero Calamandrei, dedicata alla Fede nel diritto, che ho menzionato prima.

Anche questo precetto, come i due precedenti, ha dietro di sé un presupposto che occorre esplicitare. Il presupposto è questo: a certe condizioni, il diritto «può salvare gli uomini dalle barbarie»; a certe condizioni, il diritto può «costituire un usbergo» contro le intemperie.

A quali condizioni? Una condizione di fondamentale importanza – suggerisce Alpa, sulle orme di Calamandrei – è questa: che i giuristi – gli operatori del diritto, teorici e pratici – siano fedeli al diritto, e promuovano e consolidino la fedeltà al diritto dell’intera società civile.

Che cosa devono fare i giuristi per essere fedeli al diritto (e promuovere e consolidare la fede nel diritto della società nel suo complesso)? Principalmente quattro cose.

Primo: i giuristi devono rigettare il ruolo di costruttori di concetti eburnei e inservibili.

Secondo: i giuristi devono rigettare il ruolo di consiglieri del principe, ovverosia, di servitori acritici e impassibili della politica politicante.

Terzo: i giuristi devono farsi difensori della «tecnica del diritto» in sede di redazione e applicazione delle fonti, adottando una concezione teleologica e strumentale del diritto, e valutando le leggi, le interpretazioni, e le applicazioni alla luce dei fini ai quali esse possono servire e delle conseguenze che sono suscettibili di produrre.

Quarto: i giuristi devono porre la tecnica del diritto al servizio di valori etici fondamentali.

Calamandrei, nella sua conferenza, accenna ai valori ai quali il diritto sarebbe, per sua natura, asservito: questi sono bontà e pietà, senso di giustizia (un diritto giusto ed egalitario), certezza (una certezza elastica, dinamica, evolutiva), il tutto alla luce della morale e della fede25. Alpa mostra di approvare questa tavola di valori; nella consapevolezza, apparentemente, che essa debba essere attualizzata alla luce del nuovo regime costituzionale: della legalità suprema della nostra Costituzione e dei suoi princìpi.

3. Alcune conclusioni

Concluderò formulando anzitutto tre banalità.

Prima banalità. Il diritto positivo è una variabile dipendente della cultura giuridica.

Seconda banalità. Una cattiva cultura giuridica – vuoi perché tecnicamente poco preparata, vuoi perché perpetua modalità operative inutili o dannose, vuoi perché priva di aspirazioni elevate e di elevati ideali normativi, vuoi perché superficiale e modaiola, vuoi perché gregaria rispetto a esperienze straniere di volta in volta dominanti (le “razze padrone” d’oltralpe e d’oltreoceano), vuoi perché appiattita sui desideri della politica politicante – produce un cattivo diritto.

Terza banalità. I giuristi svolgono un ruolo di primissimo piano all’interno della cultura giuridica. Se una cultura giuridica sia buona o cattiva, dipende in misura non trascurabile dai giuristi.

Ho indugiato in cotali banalità perché mi sembra che da esse si possa ricavare una conclusione che forse non è altrettanto banale. La conclusione è questa: fare metagiurisprudenza prescrittiva, disegnare modelli di giurista ideale, sono attività doverose, mediante le quali il filosofo del diritto – sia esso un giurista positivo, sia esso un filosofo che persegue il modello della filosofia del diritto dei giuristi – assolve a una delicata, importantissima, funzione istituzionale. Che Guido Alpa abbia disegnato il modello di giurista ideale che ho appena ricostruito, costituisce, dunque, nient’altro che l’adempimento di un dovere professionale. Naturalmente, come il lettore di Giuristi e interpretazioni avrà modo di constatare, ciò è stato fatto con la maestria e l’eleganza che sono la cifra consueta della sua opera di studioso.