Rivoluzionari, carbonari e patrioti. Così gli avvocati fecero l’Italia...

Studiando leggi e difendendo diritti, l'avvocato si pone come garante del cittadino di fronte ...


È stato significativo il contributo dato dagli avvocati al processo di unificazione dell’Italia? Le pagine scritte nella storia del nostro Paese dai protagonisti dei moti rivoluzionari, della Carboneria, delle guerre per l’indipendenza, della spedizione dei Mille, dei dibattiti nei Parlamenti, del processo di unificazione politica, legislativa e amministrativa, del consolidamento della democrazia, del sistema economico e sociale, che avevano anche il titolo di avvocato, sono memorabili, commoventi. Il contributo degli avvocati è stato immenso, in ogni caso determinante. È difficile dire se il coraggio, l’abnegazione, l’intelligenza, l’operatività fossero coniugate al tipo di professione svolta: molti di loro, come Giuseppe Mazzini, l’hanno iniziata e poi abbandonata per inseguire i loro ideali, i loro progetti di vita che si sarebbero poi intrecciati con i destini d’Italia. Altri, come Pasquale Stanislao Mancini, hanno continuato a svolgere contemporaneamente la professione e il ruolo istituzionali che erano stati chiamati a ricoprire, rifulgendo sia nell’una sia nell’altra carriera.

È un fatto che nelle pagine degli storici molti dei protagonisti non sono ricordati come avvocati ma piuttosto come uomini politici, di governo, delle istituzioni, quasi che l’essere avvocati fosse un dettaglio trascurabile. Per contro, molti che hanno offerto un contributo di pensiero, in quanto protagonisti della cultura giuridica italiana, hanno dato anche un contributo tecnico alla redazione delle leggi, dei codici, degli atti amministrativi (come Carrara, Zanardelli, Vivante, Scialoja),sono ignorati dagli storici generalisti perché ascritti alla storia del diritto, vista come marginale complemento della Storia di più alto valore.

È un fatto indiscutibile che nella storia delle professioni intellettuali l’avvocatura abbia sempre avuto un posto di rilievo, come ha scritto Maria Malatesta in Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni nell’Europa contemporanea, Einaudi, Torino, 2006.

Gli appartenenti a questa professione hanno avuto un grande peso anche nella storia del Paese: ciò sia per la formazione culturale, sia per la capacità di organizzazione della società civile, sia – e direi soprattutto – per la missione svolta naturalmente: l’avvocato, studiando leggi e difendendo diritti, si pone come garante del cittadino di fronte all’esercizio abusivo del potere, come garante della corretta applicazione della legge, di fronte al giudice mediatore dei conflitti, promotore di progresso sociale ed economico. Anche la sua estrazione sociale, nell’Ottocento prevalentemente borghese, non gli ha impedito di difendere le classi più umili e di battersi contro la discriminazione, difendendo i diritti degli operai, dei braccianti, delle donne, dei poveri.

E parlo non solo dei diritti politici, ma anche dei diritti civili e dei diritti economici, le tre generazioni di diritti che contrassegnano la storia del Paese dall’Unità ad oggi (senza calcolare le nuove generazioni di diritti connessi alla evoluzione informatica e biologica, che compaiono solo alla fine del Novecento).

E’ una storia che sembra declinata al maschile. Ma quante sono state le donne notevoli che hanno combattuto per l’Unità e le eroine invisibili del Risorgimento che hanno contribuito alla causa italiana e alla fondazione del nuovo Paese! E quante donne, con il loro pensiero, i loro discorsi e i loro scritti incentrati proprio sul diritto e sui diritti, avrebbero potuto essere avvocati – oggi si dice avvocate – a buon diritto, e non poterono esserlo perché le leggi scritte dagli uomini impedivano loro l’iscrizione agli albi?

Le pubblicazioni promosse dal Consiglio nazionale forense già prima dell’avvio delle celebrazioni del centocinquatenario dell’Unità danno ampi ragguagli sul ruolo fondamentale degli avvocati in quelle vicende: non solo le analisi dello sviluppo storico della professione ma anche le raccolte di discorsi e documenti, di atti congressuali, le biografie e le ricostruzioni di periodi significativi di quel lungo e complesso cammino ne sono ampia testimonianza. Le ricerche coordinate da Stefano Borsacchi con i componenti del comitato scientifico della Commissione per la storia dell’Avvocatura – Antonio Padoa Schioppa, Gian Savino Pene Vidari e Vito Piergiovanni – colmano la lacuna storica e sono destinate ad arricchire il patrimonio culturale degli italiani.

Proprio al ruolo degli avvocati nel Risorgimento si sono dedicati alcuni dei volumi della collana di Storia dell’Avvocatura in Italia curata dal Consiglio nazionale forense per i tipi del Mulino, in particolare si vedano i contributi di Francesca Tacchi. Gli avvocati italiani dall’Unità alla Repubblica; Floriana Colao, Avvocati del Risorgimento nella Toscana della Restaurazione; Guido Alpa (a cura di), Atti del primo Congresso giuridico italiano (25 novembre-8 dicembre 1872); Antonio Padoa Schioppa (a cura di), Avvocati e avvocatura nell’ Italia dell’Ottocento; Cantagalli, Avvocati, banche e imprese (1890-1940).

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